Qualche nota a proposito dell'orchestrazione di "Liebesverrat"
“
Liebesverrat”, certamente un'interpretazione composta nel senso di Hans Zender a proposito di Winterreise (“Eine komponierte Interpretation”). Non solo un'orchestrazione in “stile gervasoni” ma anche:
1 - l'aggiunta di nuove sezioni composte ex novo (principalmente per collegare i Lieder tra di loro, e risolvere alcuni problemi dovuti all'accostamento di diverse tonalità (trattandosi di "un ciclo" artificialmente creato scegliendo tra Lieder diversi e brani tratti da raccolte per coro a cappella o per duetti vocali. Tutto ciò con lo scopo di unificare in un'unica storia narrativa i dodici brani.
(ex: sezioni aggiunte tra brano n.2 e 3, tra n. 5 e n. 6, tra n. 7 e n. 8, tra n. 10 e n. 11, il ritorno di un frammento dell'introduzione prima della fine del n. 12, l'"autografo sonoro" di Schumann come coda aggiunta al n. 12 dove sono messe in musica le lettere R. SCH).
2 - l'aggiunta di parti (linee polifoniche,
textures, sfondi-ambiente, echi e risonanze “distorte” o “incongruenti”, oppure “congruenti” rispetto alla scrittura schumanniana.
(ex: n. 1, n. 3, n. 5, n. 6, n. 7, n. 9, n. 11, n.12)
3 - l'uso della spazializzazione dell'orchestra (ex: brano n.1, ottoni nella sala, n. 3. ottoni come "coro" off-stage, n. 12 oboe come una presenza demoniaca o fantastica che si unisce al trio vocale - Schumann aveva scritto il brano per quattro voci).
L'idea generale di della mia elaborazione schumanniana è quello del massimo rispetto nell'estensione del principio della
Innere Stimme, caro a Schumann, che io intendo come un trattamento iper-polifonico e microscopico della scrittura pianistica (agli strumenti dell'orchestra vengono quindi affidati gli incisi melodici che appaiono e scompaiono in continuazione nella parte pianistica di Schumann creando una sorta di polifonia virtuale onnipresente e sempre cangiante nel numero delle voci che appaiono). Nello stesso modo - analitico - in cui Anton Webern ha inteso l'orchestrazione della fuga ricercata della “Musikalisches Opfer” di Bach, con l'utilizzazione anche delle risorse di timbro e colore offerte dalle “extended techniques” della musica contemporanea. A volte alcune parti strumentali sono create artificialmente, collegando tra di loro trasversalmente alcuni incisi (ex: n.7, n. 9, n. 11) e “galleggiano” internamente, sopra o sotto, o obliquamente a vari registri, le parti vere e proprie della scrittura schumanniana.
Questo tipo di elaborazione tiene conto delle virtualità tecniche offerte dal testo schumanniano, potenzialmente "moderno" e "visionario" nella sua scrittura frantumata, sospesa, esplosa o implosa.
Tutti gli interventi relativi alla creazione di sezioni di collegamento, o all'aggiunta di sfondi e risonanze, o alla creazione di un contesto sonoro nel quale fare scorrere la musica di Schumann sono invece di tipo interpretativo e tengono conto dei testi poetici messi in musica da Schumann, dalle immagini evocate dai testi e da alcune modalità di trasposizione musicale adottate da Schumann.
Ancora due note: il n. 8 è basato sulla ricreazione di un suono immaginario di pianoforte "esteso" composto da marimba, vibrafono, celesta, arpa e qualche suono della percussione: omaggio allo strumento principe - voce di voci - dell'accompagnamento liederistico, il pianoforte).
Il numero 10 riprende la versione dell'orchestra originale di Schumann, poiché la prima parte di questo brano corrisponde al duetto del secondo atto dell'opera “Genoveva” (con una variante di mio pugno nella melodia di Golo verso la fine, allo scopo di potere orchestrare il duetto nella versione originaria, pubblicato come n. 1 dell'op. 43). Nella mia versione, passando dal n. 8 al n. 9 (benché quest'ultimo contenente, verso la fine, un evento distorsivo e timbrico sempre più invasivo affidato agli archi dispieganti accordi spettrali costruiti sul basso di Schumann), assistiamo a un progressivo avvicinamento stilistico relativamente all'orchestrazione, non più utilizzante le tecniche dell'orchestra moderna o contemporanea, ma sempre più di “tipo schumanniano”. nella seconda parte del n. 10 e fino alla fine assistiamo al processo contrario, l'orchestra si allontana dall'originale schumanniano e torna a rivolgersi verso la modernità e la visionarietà del suono, gli stilemi tipici del mio linguaggio musicale, stilemi che hanno certamente in Schumann (oltre che ad altri compositori venuti prima - Monteverdi, Beethoven, Schubert - e dopo di lui - Debussy, Webern, Bartok, Nono e Lachenmann) la loro matrice espressiva e poeticamente visionaria.
S.G. 7.10.18