Least Bee

1991-92/1993-2003
FOR
voice and chamber ensemble
TEXT BY
Emily Dickinson
DETAILED INSTRUMENTATION
1st version: soprano, flute, trumpet, percussion, harp and cello; 2nd version: soprano, flute, clarinet, piano, violin and cello
DURATION
15'
FIRST PERFORMANCE
1st (incomplete) version: 24.10.92, Cologne, Ensemble Avantgarde, Steffen Schleiermacher (conductor); 1st (complete) version: 21.4.94, London, Purcell Room, Sarah Leonard (soprano), Capricorn Ensemble; 2nd (incomplete) version: 29.1.93 New York, Focus! The new Europeans, the New Juilliard Ensemble, Joel Sachs (conductor); 2nd (complete) version: 2.11.03, Brussels, Théàtre Marni, Festival Europalia, Margherita Chiminelli (soprano), Divertimento Ensemble, Sandro Gorli (conductor)
PUBLISHER
CATALOGUE NUMBER
135998 (1st vers.), 135944 (2nd vers.)
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Audio extracts

Least Bee - M. Chiminelli, Chamber Ensemble of the International Piano Festival of Brescia and Bergamo, L. Tessadrelli, dur. 11:27, unedited live recording

Score extracts

Introduction

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Questo breve ciclo di liriche, composto nel 91-92, mette in musica alcune poesie di Emily Dickinson. Ne ho scritte due versioni, la prima - per soprano, flauto, tromba, percussione, arpa e violoncello - contiene cinque poesie; la seconda è per soprano, flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello e ne contiene quattro.

La radicalità della poesia di Emily Dickinson ha profondamente condizionato l’elaborazione compositiva di Least Bee. In questo pezzo coesistono infatti due obiettivi formali opposti: da un lato la scelta di mezzi estremamente semplici - pochi gesti minimi, come “segnali”, e pochi principi di relazione governati da quello elementare della ripetizione; dall’altro un sottile lavoro di elaborazione timbrica, che attribuisce agli elementi semplici significati continuamente mutevoli, così da illuminare di diverse intenzioni ogni singolo gesto.

Mi piace riportare il commento di un ascoltatore presente alla prima esecuzione di questa versione, a New York, nel 1994. Le sue parole mi hanno colpito per la sensibilità con cui hanno saputo spontaneamente cogliere le mie intenzioni:

«Il cantante ripete “silenziosamente” i versi, dicendo col silenzio la difficoltà della poesia di Emily Dickinson, e i processi cognitivi ellittici che accompagnano la sua lettura. Ogni strumento dell’ensemble rivela possedere ampi spettri di suono e mano a mano ci si rende conto che ognuno è suonato non tanto come semplice centro produttore e propagatore di frequenze, durate, timbri, ma come un meccanismo che produce il suo avanzare pesante, il suo respirare fino all’ansimare, il suo boccheggiare. Anche questa qualità sembra appropriata a un pezzo che ha a che fare con la Dickinson. I suoi testi mostrano i propri organi interiori a ogni snodo, nonostante la Dickinson si sforzi di rivestirli di un aspetto formale. Penso ai casi in cui tenta di conformarsi a uno schema di rima tradizionale mentre la poesia non lo permette e spinge così avanti il suo corpo aborigeno» (Tim Davies, 1994).
 
Stefano Gervasoni, May 2000

***

L’occasione della poesia

La distanza è uno dei motivi di ispirazione più frequenti nella grande poesia. Per Emily Dickinson è metafora della morte - quando la morte non è metafora della distanza, in uno di quei ribaltamenti della prospettiva da cui è possibile guardare il simbolo che nella sua poesia non sono rari.

Il capovolgimento paradossale è la logica attraverso cui la Dickinson risolvette il problema della separazione - e non si trattò di un semplice gioco di parole, staccato dalla percezione immediata della vita. Fu quando raggiunse il culmine dell’ansia, divisa dall’essere - il Dio degli avi puritani - e dagli uomini - le persone che aveva sentito più vicine e che se n’erano irrimediabilmente “andate” - che Emily accolse la visitazione gratuita di quella grazia che aveva sempre, inutilmente, cercato.

Si accorse, poi, che poteva rivivere questo evento nella poesia, dove accadeva più spesso che si ripetesse. Bastava non desiderare più di possedere i colori, per vederli rifrangersi - come il prisma - dentro di sé, in un gioco ebbro di luce che traspariva all’esterno. E bastava fare il silenzio attorno al ronzio sommesso, e dimesso, dell’ape, per udirlo trasformarsi lentamente in musica.

L’atomo - il punto infinitamente più piccolo - diventa allora un mito - un mondo senza confini. Ciò che sembrava dimorasse al proprio fianco è proiettato a distanze astrali, mentre quello che appariva irraggiungibile si rivela tanto prossimo da poterlo toccare.
E’ lo sguardo del poeta che attribuisce il significato alle cose, ma è uno sguardo che attende il momento in cui il tempo favorevole dell’occasione, breve e finito, incontra il tempo di cui non è dato conoscere l’origine, né la fine.
 
Paola Loreto

Text(s)

IT
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DE
EN
OR
1074
Count not that far that can be had,
Though sunset lie between —
Nor that adjacent, that beside,
Is further than the sun.
 
1766
Those final Creatures, — who they are —
That, faithful to the close,
Administer her ecstasy,
But just the Summer knows.
 
1602
Pursuing you in your transitions,
In other Motes —
Of other Myths
Your requisition be.
The Prism never held the Hues,
It only heard them play —
 
676
Least Bee that brew —
A Honey’s Weight
The Summer multiply —
Content Her smallest fraction help
The Amber Quantity —
 
1155
Distance — is not the Realm of Fox
Nor by Relay of Bird
Abated — Distance is
Until thyself, Beloved.


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