Fantasia

2005
FOR
piano and orchestra
DETAILED INSTRUMENTATION
solo piano, 2.2.2.2./2.2.2.0./perc. I.II.III.IV./ harp and strings (12.10.8.6.4.)
DURATION
10'
COMMISSION
Fondazione Concorso Internazionale Ferruccio Busoni - Bolzano festival Bozen
FIRST PERFORMANCE
24.8.05, Bolzano, Nuovo Teatro Comunale, Bolzano Festival Bozen, Massimiliano Damerini (piano), Orchestra Haydn, Ola Rudner (conductor)
PUBLISHER
CATALOGUE NUMBER
S. 12623 Z.
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Audio extracts

Fantasia - T. Mukaiyama, Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra, T. Honna, dur. 7:49, unedited live recording, 2007

Score extracts

Introduction

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Il sottotitolo di questa composizione (“Invenzione a una voce per pianoforte e orchestra”), che potrebbe suonare ironicamente paradossale, va inteso in una duplice accezione.
Da un lato perché la scrittura pianista brillante ma pressoché monodica, grazie allo sfruttamento degli artifici basati sulle moltissime risorse del tocco, della varietà  dei registri, della dinamica, delle note tenute, del pedale delle differenti velocità  di esecuzione delle figure, tende ad acquisire una dimensione virtualmente polifonica, che si propaga all’orchestra, la quale si incarica di illuminare, mettere in valore e conferire vita autonoma ai principi germinanti in senso polifonico della monodia pianistica. Una voce, dunque, che diventa più voci pur rimanendo una.
Dall’altro, per il motivo opposto: perché si vuole ricondurre ad unità  stilistica, in un unico organismo unitario, dotato cioè di “una voce propria” - presuntuosamente, la “voce “, quella originaria, del compositore - un numero di materiali e situazioni variamente eterogenee tra di loro (da cui il titolo di “Fantasia”); tra queste una citazione di un mio precedente pezzo per pianoforte (lo Studio di disabitudine) e una smaccatissima citazione dell’ultimo studio dell’op. 25 di Chopin (i vortici gonfiati dall’orchestra di una voce che può muoversi solo in onde di bicordi ascendenti e discenti), la quale, dopo la sorpresa della sua inaspettata apparizione, sembra integrarsi perfettamente con il resto della composizione, come il ricordo di un nubifragio subito e felicemente superato.

Una nota sul tipo di virtuosismo pianistico che questa composizione richiede: la punta di ironia del sottotitolo vuole essere un suggerimento anche in questo senso. Nulla di appariscente e dimostrativo nella grande abilità  e capacità  di controllo con le quali l’interprete deve servire la partitura, sia per la padronanza degli artifici di scrittura di cui si diceva sopra, sia per il fitto e intrecciato dialogo con gli strumenti dell’orchestra. In questo rovesciamento tra il grande sforzo richiesto e la volontà  di non farlo apparire consiste l’ironia. Essa è spinta al punto di lanciare una sfida al pianista navigante nelle onde della citazione chopiniana, rendendogli l’oceano che dà  il titolo, apocrifo, allo studio di Chopin ancora più tempestoso di quanto l’autore l’avesse concepito, e costringendolo ad ardite quanto invisibili manovre pur di non essere sbalzato fuori dalla barca.
 
Stefano Gervasoni, 26.4.05
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