Nell’ultimo decennio la mia musica si è sempre più diversificata, integrando generi musicali e registri espressivi diversi. A tal punto che mi sento obbligato di parlare, dal punto estetico, di un’indagine sulla categoria di eclettismo tra le linee di ricerca del mio lavoro. Eclettismo non inteso nel senso di una libertà massima e irresponsabile, a-stilistico e a-storico, quindi, dove mezzi e fini diventano declinabili in tutti i rapporti possibili in nome di una comunicazione la più globalizzata possibile. Quanto piuttosto di un eclettismo che cerca di affermare un principio di coerenza superiore - questo lo scopo ultimo della ricerca - capace di creare unità ai disparati elementi musicali impiegati e alle diverse funzioni espresse suscitate. L’accento dunque è posto sulla ricerca di coerenza, tecnicamente e linguisticamente controllata, e non sull’effetto spaesante, provocatorio, scioccante, euforizzante o deprimente, di una babele più o meno organizzata. Comporre è mettere in luce questa coerenza, fare luce sui legami possibili tra cose lontane (e vicine) e crearne altri possibili. Così concepito, l’eclettismo diventa un termometro della creatività dell’artista capace e desideroso di misurarsi su terreni diversi, un banco di prova e uno stimolo continuo alla curiosità, un sistema dinamico di orientamento dell’esplorazione e nello stesso tempo di disarmo dei mezzi precostituiti, personali o convenzionali (le “autodifese” del linguaggio o dello stile) da impiegare in tale ricerca.
Nel mio catalogo figurano composizioni come “
Dir - in dir”, estramamente sobrie e austere, come “
Godspell”, pluristilistiche a partire da un materiale univoco, o come “
Heur, leurre, lueur” univocamente espressive pur facendo coesistere materiali compositivi diversi. O ancora, composizioni che prediligono un approccio “sonico” (“
Epicadenza”, “
Antiterra”, “
Strada non presa”, “
Sviete Tihi”, tra gli altri) ad altri di tipo strutturalistico-combinatorio, nel quali i principi scalari e intervallari sono determinanti (“i tre quaderni dei “
Prés”, “
Irrene stimme”, “
Se taccio il duol s’avanza”, “
Froward”, “
In dir”…), ma possono consentire esiti compositivi stilisticamente “aperti” e di tipo “stilisticamente inclusivo” (come nel caso di “
Limbus-Limbo”), ad altri ancora interamente basati sul filtraggio di composizioni altrui (classico-colte, del passato, o di altri generi, extra-colti o folklorici, anche recenti) o sulla citazione criptata di frammenti di brani preesistenti assunti come nuclei generatori di un’intera composizione….
Nel caso di “
Fado erratico” il territorio esplorato è quello della musica di derivazione popolare (d’autore) di un genere a me molto caro, per motivi forse insondabili legati alla possibilità di veicolare un contenuto emotivo estremamente denso, intriso di sensualità, malinconia, speranza e nostalgia, quale il fado portoghese…
Si tratta di una riscrittura di “
Com que voz” (2007-08), per cantante fado, baritono, grande ensemble e elettronica (IRCAM) da cui sono stati espunti i brani cantati dal baritono - trasformati, in parte, in interludi strumentali o in sostegni aggiuntivi e distorsivi dell’accompagnamento dei fado di cui ho conservato la strumentazione “contemporanea” (ma perfettamente fedele al loro contenuto musicale, rigorosamente trascritto dalle registrazioni di Amália Rodrigues) prevista per “
Com que voz”. La struttura orizzontale di “
Com que voz” basata sull’alternanza fado di Amália Rodrigues (musica tonale) - sonetti di Luís de Camões (musica contemporanea) è stata verticalizzata in questa nuova versione: i fado sono attraversati e in qualche modo “ostacolati” dalla musica di tutt’altra matrice ripresa dai sonetti, e l’elettronica interviene a moltiplicare questo gioco di rimandi e di allusioni fino a spingerlo oltre la musica, in un territorio naturalistico (materializzazione di elementi tratti dal paesaggio sonoro di Lisbona), iper-realistico (trasformazione di suoni tratti dal deserto della Namibia; morphing tra suoni di pioggia e passaggi musicali della partitura).
Tutto ciò fa riferimento a una concezione dell’ascolto “impuro” che governa il nostro rapporto con l’arte dei suoni nella società globalizzata e nel mondo della cultura di massa: l’ascolto di un brano musicale, seppure desideroso di cogliere i suoi elementi allo stato primigenio, è (sempre più) condizionato dall’esperienza accumulativa e entropica dell’ascolto, molto spesso involontario, di una miriade di suoni organizzati culturalmente a livelli diversi e in contraddizione tra loro. L’atto dell’ascolto deve farsi spazio, oggi, a un insieme di operazioni di filtraggio e di rimessa in ordine di un complesso di informazioni da districare a partire da un insieme eterogeneo. In questo replicando il gesto creativo del compositore in cerca di cerca di coerenza per le sue composizioni che ritagliano e rielaborano, esplorandolo con curiosità e attenzione, uno spazio sonoro esploso.
S.G. January 2015
In the last decade my music has become increasingly diversified, integrating different musical genres and expressive registers. To the extent that I feel obliged to speak, from an aesthetic point of view, about an investigation into the category of eclecticism among the lines of research in my output. Eclecticism not in the sense of a maximum and irresponsible liberty, and thus a-stylistic and a-historic, where means and ends become feasible in all possible relations in the name of a communication that is as globalized as possible. But rather an eclecticism that tries to affirm a principle of higher coherence – this is the ultimate purpose of research – able to create unity to the disparate musical elements involved and to the different functions elicited. The stress is therefore placed on the search for coherence, technically and linguistically controlled, and not on the disorienting, provocatory, shocking, euphorizing or depressing effect, of a more or less organized Babel. Composing means highlighting this coherence, shedding light on the possible links between objects both distant and close, and to create other possible connections. Conceived in this way, eclecticism becomes a measure of the creativity of the artist able and willing to tackle diverse terrains, a testing ground and a constant stimulus towards curiosity, a dynamic orientation system for the exploration and at the same time deconstruction of the preconstituted means, whether personal or conventional (the “self-defenses” of the language or style), to be used in this search.
My catalogue includes compositions like
Dir - In Dir, extremely sober and austere, like
Godspell, pluristylistic though from univocal material, or, like
Heur, leurre, lueur, univocally expressive though bringing together different compositional materials. Or else, compositions that favour a “sonic” approach (
Epicadenza,
Antiterra,
Strada non presa,
Sviete Tihi, among others) and others of a structuralist-combinatory type in which the principles of the scales and intervals are determinant (the three books of
Prés,
Irrene Stimme,
Se taccio il duol s’avanza,
Froward,
In dir…) but result in works that are stylistically “open” and of a “stylistically inclusive” type (as in the case of
Limbus-Limbo), or others still that are entirely based on compositions from elsewhere (classical-art works of the past, or other genres, extra-art or folklore, also recent) or on enigmatic fragments of pre-existing pieces taken as generating nuclei for an entire composition.
In the case of
Fado errático the territory explored is that of music with a popular (“d’auteur”) derivation, a genre very dear to me, for perhaps unfathomable reasons, linked to the possibility of exploiting an emotive content that is extremely dense, filled with sensuality, melancholy, hope and nostalgia like the Portuguese
fado.
It is a rewriting of
Com que voz (2007/08) for
fado singer, baritone, large ensemble and electronics (Ircam) from which the parts sung by the baritone have been extracted and partly transformed into instrumental interludes or into additional or distortional supports for the accompaniment to the
fado, for which I have kept the “contemporary” instrumentation (but perfectly faithful to the musical content, rigorously transcribed from the recordings of Amália Rodrigues) used in
Com que voz. The horizontal structure of
Com que voz, based on the alternation between the
fado of Amália Rodrigues (tonal music) and the sonnets of Luís de Camões (contemporary music), has become vertical in this new version: the
fados are traversed and in some way “obstructed” by the music of a totally different nature coming from the sonnets, and the electronics serves to multiply these references and allusions until pushing them beyond the music, into a naturalist (materialization of elements drawn from the soundscape of Lisbon), hyper-realistic territory (transformation of sounds taken from the desert of Namibia; morphing between sounds of rain and musical passages from the score).
All this makes reference to the “impure” conception of listening that governs our relation with the art of sounds in the globalized society and in the world of mass culture: listening to a piece of music, despite wishing to catch its elements in their original state, is (increasingly) conditioned by the accumulative and entropic experience of listening, very often involuntarily, to a myriad of organized sounds at different cultural levels and contradictory to one another. The act of listening, today, should make room for the filtering and re-ordering of a body of information to be extracted from a heterogeneous whole. In so doing, attempting to replicate the creative gesture of the composer in search of coherence through his compositions that sample and re-elaborate an exploded sonic space, exploring it with curiosity and attention.
S.G. January 2015
Depuis une dizaine d’années, ma musique s’est grandement diversifiée, intégrant divers genres musicaux et registres expressifs. À ce sujet, je me sens forcé de donner quelques informations, d’un point de vue esthétique, sur mon cheminement quant à l’éclectisme de mes recherches. Le terme d’éclectisme ne doit pas être entendu ici au sens d’une liberté extrême et irresponsable, et donc astylistique et anhistorique, où tous les moyens sont bons en termes de références, au nom d’une globalisation toujours plus vaste. L’éclectisme, ici, se veut au contraire l’affirmation d’un principe de cohérence holistique — c’est en tout cas le but ultime de mes recherches —, capable de faire apparaître une unité au sein des éléments musicaux disparates mis en jeux et des différentes fonctions obtenues. L’attention est donc focalisée sur la recherche d’une cohérence, techniquement et sémantiquement contrôlée, et non sur des effets de désorientation, de provocation, de choc, d’euphorie ou de déprime d’une Babel plus ou moins organisée. Composer suppose de souligner cette cohérence, de mettre en lumière tous les liens imaginables qui relient les différents objets, proches ou lointains, et de faire si possible naitre d’autres points de jonction. Ainsi considéré, l’éclectisme devient une mesure de la créativité de l’artiste, dans sa volonté de défricher divers champs d’expérimentation, en même temps qu’un laboratoire et un aiguillon inlassable de sa curiosité, un système dynamique qui oriente l’exploration artistique tout en invitant à la déconstruction de tous les outils préfabriqués, qu’ils soient personnels ou conventionnels (l’« auto-défense » du langage ou du style), au service de la recherche.
Dans mon catalogue, on trouve ainsi des pièces comme
Dir — In Dir, sobres et austères à l’extrême,
Godspell, approche pluristylistique d’un matériau unique, ou
Heur, leurre, lueur, expression univoque qui réunit pourtant différents matériaux compositionnels. D’autres pièces préfèrent une approche « sonique » (
Epicadenza,
Antiterra,
Strada non presa,
Sviete Tihi, pour ne citer que celles-là), d’autres encore relèvent d’un genre structuralo-combinatoire au sein duquel les principes d’échelles et d’intervalles sont déterminants (les trois livres de
Prés, Irrene Stimme, Se taccio il duol s’avanza, Froward, In dir…) mais le résultat de ces œuvres est d’être stylistiquement « ouvertes » et d’un genre « stylistiquement appropriatif » (c’est le cas de
Limbus-Limbo), d’autres enfin sont entièrement élaborées à partir de compositions empruntées (œuvres d’arts classique du passé, autres genres musicaux, extra-art ou folklore…) ou à partir de fragments « énigmatiques » extraits de mes pièces antérieures, qui génèrent de nouvelles compositions.
Dans le cas de
Fado errático, le territoire exploré est celui d’une musique d’auteur mais populaire, un genre qui m’est cher, pour des raisons sans doute inconscientes, et qui a trait à un contenu émotif extrêmement dense, saturé de sensualité, de mélancolie, d’espoir et de nostalgie, comme le
fado portugais. C’est une réécriture de
Com que voz (2007-2008) pour chanteuse fado, baryton, grand ensemble et électronique (Ircam) dont j’ai supprimé les parties chantées par le baryton soit pour les transformer en interludes instrumentaux, soit pour les superposer, comme un soutien additionnel ou distordu, à l’accompagnement du
fado, pour lequel j’ai préservé l’instrumentation « contemporaine » déjà utilisé dans
Com que voz (contemporaine, mais parfaitement fidèle au contenu musical, rigoureusement transcrit à partir des enregistrements d’Amália Rodrigues)
. La structure horizontale de
Com que voz, qui reposait sur l’alternance entre le
fado d’Amália Rodrigues (une musique tonale) et les sonnets de Luís de Camões (dans un langage contemporain), devient ici verticale : les
fados sont traversés et, d’une certaine manière, « obstrués » par la musique de nature radicalement différente reprise des sonnets de Camões, et l’électronique sert ici à démultiplier les références et allusions jusqu’à les faire passer au-delà de la musique, dans une forme de territoire naturaliste (par la matérialisation d’éléments concrets enregistrés dans le paysage sonore de Lisbonne) et hyperréaliste (transformation de sons pris dans le déserts de Namibie ; morphing de gouttes de pluie et de passages musicaux de la partition).
Tout ceci participe d’une vision « impure » de l’écoute qui préside à notre relation avec les arts du son au sein d’une société globalisée, théâtre d’une culture de masse : écouter une œuvre de musique, en dépit de notre volonté d’en saisir les différents éléments sous leur forme originelle, est (de plus en plus) conditionnée par l’expérience accumulative et entropique de l’écoute, la plupart du temps involontaire, d’une myriade de sons organisés à différents niveaux culturels, qui parfois se contredisent les uns les autres. Lorsqu’on envisage aujourd’hui l’acte d’écoute, on devrait ménager une place aux processus intellectuels et perceptifs de filtrage et de ré-ordonnancement de l’ensemble des informations à extraire d’un tout hétérogène. Ce faisant, on peut tenter de recréer le geste créatif du compositeur, en quête d’un cohérence au travers d’une œuvre qui fait le tri et reconstruit un espace sonore éclaté, et ainsi l’explorer avec curiosité et attention.
S.G. January 2015
(trad. Jérémie Szpirglas)